I primi cinque anni di "ritorno" 

26.02.2021

Raffaellino torna quindi in patria stabilendosi definitivamente nella sua cittadina, Borgo Sansepolcro. Riallaccia i rapporti e le vecchie amicizie, partecipando attivamente alla vita religiosa della città, come già la sua famiglia prima di lui. Nel 1526 l'artista entra a far parte della Compagnia della Madonna delle Grazie della quale fu membro per tutta la vita ricoprendovi spesso incarichi di prestigio. Compagnia su cui si fonda poi, la chiesa di S. Maria delle Grazie (per la quale eseguirà, nel 1555 ca., la Madonna delle Grazie). Un vortice di noti artisti biturgensi dell'epoca orbitavano attorno a questa chiesa, quali: Giovanni Battista Cugni, Schiatto Schiatti, Giovanni e Romano (Nero) di Berto Alberti e Cristoforo Renzetti, tutti contemporanei e conoscenti di Raffaellino. La Resurrezione del Duomo di Sansepolcro che descrive Vasari come opera molto lodata, è finalmente conclusa; appena tornato a Sansepolcro Raffaellino si mise subito ad eseguire il lavoro che lo attendeva fin dal 1522 così portandolo a termine. 

Vi è un disegno molto rifinito e raffinato di una Resurrezione, nel dipartimento Des Arts Graphiques- Musee du Louvre Parigi plausibilmente attribuito a Raffaellino. Sebbene la sua attribuzione sia stata messa in dubbio è comunque uno studio aperto al dibattito. La natura eterogenea dei suoi dipinti, che rivelano in successione l'impronta del Sanzio, di Giulio Romano, Rosso Fiorentino, Bronzino e Vasari, suggerisce che potrebbe essere stato anche una specie di "camaleonte" come disegnatore. Ciò spiegherebbe, in parte, l'apparente difficoltà nel distinguere i disegni di sua mano. Disegno strettamente legato alla Resurrezione del Duomo di Sansepolcro e ad un dipinto dello stesso soggetto un pò più tardo dell'artista (che incontreremo successivamente) nella chiesa di San Rocco sempre a Sansepolcro. Il vescovo di Sansepolcro Leonardo Tornabuoni, figlio di Lorenzo Tornabuoni, dell'aristocrazia legata ai Medici, e di Giovanna degli Albizi, fu il committente. Era stato avviato alla carriera ecclesiastica all'ombra del Papa mediceo Leone X. Figura di spicco e per noi importante poiché almeno nei primi anni biturgensi di "ritorno", fu la personalità coinvolta nelle commissioni a Raffaellino. Probabilmente un accordo informale tra il prelato e il pittore avvenne direttamente a Roma (commissione 1522); si può presumere che la peste che affliggeva Sansepolcro, più mortale di quella che affliggeva Roma in quegli stessi anni, e l'attaccamento a Giulio Romano, possano giustificare il ritardo di due anni nell'esecuzione. Il dipinto fu concluso quindi entro l'aprile del 1525 quando, per completare la decorazione pittorica "tenuto et obligato" gli fu commissionata per la cappella dei Ss. Egidio e Arcano sempre all'interno del Duomo, una Lunetta con il Padre Eterno e angeli, per essere unita alla "taula in dieta cappella", due tavole con santi e una predella. Questo dipinto (Lunetta) attribuito a partire dal Mancini (1832) è stato"recentemente" negato dalla Facchielli (1998). La critica a favore dell'attribuzione a Raffaellino afferma: «Basta osservare la Resurrezione per notare un'evidente unione stilistica» e proponendo un confronto più ampio si può notare come lo scorcio delle mani del Padre Eterno e la fisionomia dell'angioletto centrale, siano tipici dello stile raffaellinesco. Riportando alla memoria la Pala di Monteluce di Raffaello, aggiungo che si può riscontrare che il particolare dell'angioletto inginocchiato è gemello di quest'ultima: le mani conserte e il volto paffuto che guarda in alto, le piccole ali, il ventre gonfio.. La cappella, dedicata ai due pellegrini che secondo la tradizione portarono nella cittadina le reliquie del Santo Sepolcro, fu distrutta nel 1859, La Resurrezione, derivata da disegni di Raffaello e Giulio Romano, sembra esserne l'unica parte superstite. Come scrisse il Vasari, subito dopo questa prova biturgense, Raffaellino iniziò a ricevere varie commissioni «Acquistandosi ricchezze e nome» e aumentando sempre più la sua fama, staccandosi pian piano dall'aura luminosa dei maestri che lo circondava, brillando sempre più di luce propria. Prendendo posto nella cittadina che tanto necessitava del suo buon artista autoctono. Tenendo a mente che la vita di Raffaellino può essere raccontata solo attraverso documenti, di cui le sue opere son fonte principale, dobbiamo considerare che alcune purtroppo son perdute, alcune solo citate ed altre ancora tutte da scoprire. Come i suoi lavori per committenze private. Rimane a mio parere un'ottima intelaiatura per raccontare la sua storia, l'artista attraverso le sue opere osservando il mutare del suo stile. Allo stato attuale delle ricerche e per cinque anni circa, fino alla decorazione della Villa Imperiale di Pesaro del 1530, i lavori si concentrarono principalmente al confine tra Toscana e Umbria, nelle rispettive Sansepolcro e Città di Castello. Vi è però anche una prima prova marchigiana in questi anni di avvio, in una zona molto "vicina" a Sansepolcro, chiamata Lamoli e a tal proposito vorrei aprire una piccola parentesi, Raffaellino potè instaurare con il territorio marchigiano un rapporto estremamente libero nel quale, assieme alla presenza diretta, fu probabilmente compreso anche il trasporto di opere eseguite a Sansepolcro. Dunque, si deve immaginare il nostro artista che arriva a 1049 m. s.l.m. al valico appenninico chiamato Bocca Trabaria, sita all'inizio della Valle Metaurense.

il percorso di Raffaellino 

Svalicando dall'Umbria nelle Marche. Una traversata tuttavia faticosa che più di un paio di volte dovette praticare. Raffaellino quindi per quanto concerne la sua città natale, oltre alle già ricordate opere lasciate per la Cattedrale (Resurrezione e Lunetta), rimanendo cronologicamente all'interno dei primi cinque anni di lavoro dal suo ritorno da Roma, lascia solamente tre opere: L'Assunzione della Vergine del Civico, La Sacra Famiglia di Taplow e la Lunetta di S.Lorenzo.

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