La formazione e l’esordio romano

22.01.2021

Raffaellino nasce, come appreso nel precedente paragrafo, tra il 1494 e il 1497, perciò si presume che abbia iniziato il discepolato nella cittadina biturgense nel primo decennio del Cinquecento. Con i suoi Annali e Memorie di Sansepolcro Farulli descrive i più tristi avvenimenti del secolo di Raffaellino, ma pur cosciente delle sue parole non riesco ad immaginare questi anni solo bui. Non son forse per la pittura gli anni più prolifici? prima del Sacco di Roma (1527) e della grande fuga, gli anni del Papato di Giulio II (1503-13), stimolanti; In cui è già nata l'Ultima cena (1495-97), Vasco da Gama si è aggiudicato il primato europeo di aver raggiunto le Indie via mare e sta nascendo la Gioconda di Leonardo da Vinci. È importante entrare appieno nell'epoca di un'artista per poterlo conoscere davvero. Anni meravigliosi e densi di eventi, sicuramente stimolanti per un pittore come Raffaellino che mantenendo la sua modestia, ossequia il bello che lo circonda. Si parla di un tempo in cui Bramante comincia la costruzione della basilica di San Pietro a Roma (1506) e il grande maestro del Nostro, Raffaello, inizia gli affreschi nelle Stanze Vaticane (1508) mentre Michelangelo affresca la volta della Cappella Sistina (1508-12). Fino ad arrivare alla morte di Giorgione nel 1510, proprio per citare gli anni in cui in Raffaellino nasce la voglia di dipingere, necessariamente da inquadrare per capire appieno gli influssi, anche successivi che avrà la sua arte. La sua fanciullezza a Sansepolcro, stringendoci in questo piccolo borgo, è caratterizzata da un periodo di particolare esuberanza pittorica, seppur d'importazione, per la città toscana. Si può immaginare una formazione che muove i suoi primissimi passi guidati dal peruginismo, influenzato da quelle personalità forestiere, quali Gerino da Pistoia (Pistoia, 1480-Pistoia (?), post 1529) e Sinibaldo Ibi (Perugia, documentato dal 1496 al 1584), in quella che diverrà poi la sua professione. Come si vedrà la difficoltà di articolare in una verosimile cronologia il percorso di Raffaellino del Colle, difficoltà che trova la sua prima, obbiettiva motivazione nella scarsezza di opere datate, non risparmia naturalmente né la formazione né il suo esordio. Il primo avviamento alla pittura maturò entro un ambito ben preciso e individuabile proprio nella sua città natia, erede degli insegnamenti del grande Piero della Francesca (Borgo Sansepolcro , 12 settembre 1416/17 - Borgo Sansepolcro 12 ottobre 1492) che dovette molto impressionare il nostro giovane artista. In questo periodo, in una situazione pittorica locale dunque, che non disponeva di una forte scuola pittorica ed instabilmente sorretta da artefici non residenti come poc'anzi detto; dovette far comprendere ai biturgensi, tra cui ai del Colle, che la loro città aveva bisogno di nuovo, di buoni pittori autoctoni. Raffaellino quando rimase orfano di padre nel 1509 aveva intorno ai tredici anni, raggiungendo quindi nel 1510 l'età ideale per essere accolto in bottega, affrontando quindi con tranquillità, un soggiorno lontano da casa. Costruendosi un curriculum di certo qualificante agli occhi dello Spagna, apprendendo i primi rudimenti del mestiere della pittura nelle botteghe locali, come di consuetudine ed apprezzando le opere che lo circondavano in quegli anni. 

Da ricordare come il primo decennio del Cinquecento sia chiuso dall'Ascensione di Cristo (Sansepolcro cattedrale), assegnata da Vasari al Perugino, e fondamentalmente battuto, secondo quanto desumiamo dalle prove artistiche giunte sino a noi, da personalità quali Gerino da Pistoia e Sinibaldo Ibi che, affiancandosi a botteghe attive nel campo dell'oreficeria e dell'intaglio ligneo, vivacizzarono un quadro biturgense manchevole di apprezzabili capiscuola operanti in pittura. Si può quindi iniziare a riflettere sull'esperienza di Raffaellino nella bottega dello Spagna, all'epoca stanziata tra Todi e Spoleto, parlando di un legame alquanto diretto instauratosi presumibilmente nel 1510. Il Nostro quindi, riuscì ad affiancarsi ad uno dei maggiori collaboratori di Perugino, dove dovette rimanere almeno sino alla metà del secondo decennio, muovendosi in particolare sul suolo umbro e collaborando alla realizzazione di importanti lavori. Ipotesi confermata da Fra Ludovico da Pietralunga che lo definisce "discipulo" di Giovanni di Pietro. Sappiamo che tra maggio e giugno 1517 già il pittore è citato come "maestro" autonomo a Sansepolcro e bisognerà arrivare al 22 ottobre 1518 per trovare Raffaellino per la prima volta in assoluto nominato come "depintore", partecipando all'ammodernamento del Tabernacolo del Gonfalone (corrispondente alla cappella e all'altare della Madonna della Misericordia di Piero della Francesca) un tempo conservato nella chiesa della Misericordia di Sansepolcro.

Quanto presentato sulla Cappella e il Tabernacolo quindi, aiuta a scandire i primi rapporti instaurati con la bottega di Raffaello Sanzio e soprattutto convalida, almeno sotto il profilo cronologico, la possibile partecipazione di Raffaellino nei cantieri romani. Della Loggia di Psiche alla Farnesina (già terminata nel 1519) e delle Logge di Raffaello in Vaticano (conclusa nel corso della prima metà del 1519 o poco dopo) entrambi i cicli iniziati tra il 1517 e il 1518. È intuibile una lunga assenza da Sansepolcro, coperta dall'intervento dei suddetti cantieri raffaelleschi particolarmente attivi nel 1518, dall'estate del 1517 a quella del 1518. Nell'autunno del 1518 con entrambe le logge quasi complete si intuisce che Raffaellino potè tornare a Sansepolcro per l'impegno sul Tabernacolo del Gonfalone.Dopo il 2 giugno 1519, pur contando qualche presenza biturgense riprese infine il soggiorno capitolino, in vista della commissione, da cui scaturì la stretta unione tra Raffaellino e Giulio Romano: la decorazione della Sala di Costantino iniziata nell'estate 1520 che aveva bisogno di un equipe preparata nei confronti dell'arte raffaellesca. 

Requisito che a Raffaellino non mancava, anche per la formazione vicino allo Spagna, autore apprezzabile per la sua accurata tecnica pittorica anche ad affresco che forse raccomandò (comunque non gli Aretini, parenti del cardinal Bibbiena). Come si diceva, nell'Urbe soprattutto dopo il 1520, l'artista facendosi notare si guadagna un posto di spicco nel ruolo di principale assistente di Iulius de Pippis, de Ianutiis, più comunemente conosciuto e qui sempre citato come Giulio Romano. Probabilmente il Pippi ad un certo punto si formò una bottega personale, non sotto la tutela di Raffaello. Il Sanzio infatti, a causa dei suoi poliedrici impegni (aumentati per l'appunto nella seconda metà degli anni '10) potrebbe aver lasciato al Pippi una certa libertà e autorità, che presupponeva la scelta e l'ammaestramento di collaboratori personali (come Giovanni del Leone) tra i quali fu compreso anche Raffaellino, nel ramo pittorico della bottega. Di conseguenza Giulio, nei confronti degli incombenti compiti da gestire subito dopo la morte di Raffaello avvenuta il 6 aprile 1520 (tra cui primeggiava la prosecuzione della Sala di Costantino che sancì pubblicamente il passaggio del testimone tra il maestro defunto e i suoi allievi), operò aiutato dalle forze che si era assicurato negli anni precedenti «E nella Sala Grande (Sala di Costantino) che fece (G.Romano) essi (Raffaellino del Colle e Giovanni del Leone) una gran parte colorirono e condussero di quelle cose che vi sono» Vasari (1550). Notizia che nella seconda edizione è così riportata, «Giovanni da Lione a Raffaello del Colle di Borgo San Sepolcro, l'uno e l'altro de quali nella Sala di Costantino e nell'altre opere, delle quali si è ragionato, avevano molte cose aiutato a lavorare». 

 

Roma, Galleria Borghese, Olio su tavola: Madonna con il Bambino e S.Giovannino (1523 ca.)
Roma, Galleria Borghese, Olio su tavola: Madonna con il Bambino e S.Giovannino (1523 ca.)

In un'operazione progettata a così alto livello ed eseguita a più mani da un gruppo di allievi, la cui età media non doveva superare i venti anni, isolare la partecipazione di Raffaellino è impresa ardua, tanto più nella mancanza di opere da lui eseguite in proprio nello stesso periodo (non tenendo in considerazione i lavori sul Tabernacolo), che avrebbero potuto costruire dei precisi punti di riferimento. Si accettino o meno le proposte degli studiosi (caso ancora tutto da studiare) nel tempo, è in ogni caso fuori dubbio che la "maniera" di Raffaellino si costituisce negli anni, piuttosto densi di avvenimenti, nei quali si realizza non senza contraddizioni e ripensamenti la decorazione della Sala. Questa rimarrà l'esperienza di fondo per l'intero percorso del pittore.Proseguendo quindi con gli ultimi documenti che lo attestano; se Raffaellino potè frequentare Giulio Romano prima del 1520, lo stretto accordo tra i due pittori si instaurò a partire dal 1522. Tuttavia, dopo i pagamenti biturgensi del 1518-19, il nome di Raffaellino a Roma compare con chiarezza solo il 23 ottobre 1523 in un documento riguardante la dote di Girolama Pippi sorella di Giulio Romano; mentre un'ulteriore prova, anche se non esplicita, del soggiorno romano iniziato prima di questa data, è il documento biturgense del 12 agosto 1522 dove «Rafaeli Michelangeli dal Colle, pictore di dicta civitate, absenti» è sostituito nell'atto da suo fratello Giovanni Maria. Indiscutibile quindi che sulla scia delle poche prove rimaste, Raffaellino lavorò a Roma in un ruolo di primo piano, così documenta il successivo testamento del Pippi redatto il 29 aprile 1524; il maestro in caso di morte lascia a «Raffaele di Michelangelo dal Colle del Borgo San Sepolcro, Garzone dello stesso testatore, ogni e singola opera dello stesso testatore, cominciata e non compiuta, nonché gli strumenti "ad exercitium pectoris tantum et non ultra" e le suppellettili che si riferiscano e siano strettamente utili all'esercitazione del pittore, eccettuate le antichità marmoree e non marmoree..» Disposizione che ricorda, con qualche limitazione, quanto stabilito da Raffaello nelle sue ultime volontà. Il biturgense "eiusdem testatoris garzono" in sostanza, eredita la bottega giuliesca, comprese le opere non ancora terminate, tra le quali era probabilmente compresa anche la Sala di Costantino (al tempo del testamento ancora incompleta), che Giulio voleva fossero terminate solo dal biturgense. Infine alcuni cartoni tra cui la Pala Fugger che rappresenta una vera e propria matrice iconografica per la sua produzione successiva. 

Alla partenza di Giulio Romano per Mantova nell'autunno 1524, Raffaellino torna in patria dove ad attenderlo vi era la decorazione pittorica, commissionata il 12 agosto 1522 (con l'artista assente) della cappella dei santi Egidio e Arcano in Duomo (oggi scomparsa). L'affidamento di disegni e strumenti presuppone che il Pippi non intendesse condurre Raffaellino con sé a Mantova, ma nonostante ciò Giorgio Vasari (1568) riferisce che Raffaellino partecipò al cantiere di Palazzo Tè, dove però l'intervento del pittore di Sansepolcro non è documentato né riconoscibile. Proprio perchè la popolazione di Sansepolcro sentiva che nn si era data la giusta importanza ai Ss. fondatori della città, fu decisa la costruzione di questa cappella nel 1513. Tale evento dovette quindi rappresentare una rinascita spirituale della città intera e Raffaellino, per dare speranza alla popolazione flagellata da una dura pestilenza (1522 ca.), fu scelto per eseguire le immagini da venerare. Il 25 aprile 1525 Raffaellino riceve quindi la promessa di pagamento per l'eseguita tavola della Resurrezione di Cristo ancora oggi conservata nel duomo biturgense, nella quale da sfoggio della cultura romana raffaellesca con l'altra significativa prova giovanile che è l'aristocratica Madonna con il Bambino e San Giovannino della Galleria Borghese di Roma.                                          Non si conosce né la sua provenienza né la modalità con cui entrò a far parte di questa collezione romana. La troviamo citata per la prima volta nell'Inventario Borghese del 1693 con l'assegnazione a Giulio Romano e dopo varie vicissitudini attributive si arriva ad inventariarla con l'attribuzione a Raffaellino del Colle. A.Gnann (1999) riferisce entrambi i dipinti a Giulio Romano con datazione 1522-1524, affermando inoltre che «La qualità dell'esecuzione pittorica (del quadro Borghese) corri- sponde a quella del dipinto di Baltimora, e alcuni passaggi, come la fascia di cielo dipinta con ampie pennellate, sono identici. È perciò probabile che il dipinto di Villa Borghese rappresenti una seconda versione, eseguita più liberamente». Anna Lo Bianco (1984) e Paolo Moreno-Chiara Stefani (2000) propongono invece il nome di Raffaellino sostenendo che «Il volto della Vergine è una derivazione del prototipo di Santa Maria dell'Anima (Pala Fugger) che (l'autore) ripropone fedelmente nei tratti, ma dalla quale si discosta dal risultato finale. L'ovale si fa più duro allungandosi verso il basso, le ombre si diradano in un effetto più lisciato, le lumeggiature della capigliatura spariscono. Tanto basterebbe- direi- per ricusare l'attribuzione a Giulio in favore di quella a Raffaellino».

 Sansepolcro (AR), cattedrale, olio su tavola: Resurrezione di Cristo. (1524-1525)
Sansepolcro (AR), cattedrale, olio su tavola: Resurrezione di Cristo. (1524-1525)


Il suo protomanierismo si manifesta fin da subito e per il fatto che il dipinto è stato sicuramente realizzato nella bottega romana del Pippi, potremmo trovarci di fronte alla prima opera attribuibile a Raffaellino e, conseguentemente, ai problemi che questa assegnazione comporta. Qualora debba cercarsi un'attribuzione alternativa non dimentichiamo che Giovanni da Lione, compagno di Raffaellino a Roma è annoverato con Raffaellino tra coloro che meglio si mimetizzano nella maniera del Pippi, ricordo le parole del Vasari (1568):  «molto destri nel dipingere» e molto osservanti «la maniera di Giulio». Di chiunque degli artisti si accetti l'autografia, entrambe le opere andrebbero collocate al 1524 o agli anni immediatamente precedenti, nell'ambito di una bottega frequentata probabilmente già dal 1517. Non dobbiamo poi dimenticare che le radiografie effettuate sul quadro di Baltimora hanno fatto emergere una prima idea compositiva del soggetto, si tratta di una modalità operativa che prevedeva di modificare con disinvoltura le composizioni (magari per ottenere un miglior riscontro nel mercato). L'opera come si diceva, deve essere strettamente connessa alla produzione uscita dalla bottega capitolina del Pippi. 

Su disegno di Giulio Romano eseguì poi a Roma due affreschi ora perduti. Uno fu lo Stemma di Clemente VII dipinto (insieme a Giovanni del Leone) presso la Zecca Vecchia in Banchi mentre l'altro, rappresentante la Madonna del Velo e santi ed eseguito in una lunetta del Palazzo Della Valle, fu ritenuto, come scrive il Vasari, «Pittura eccellente». La felice intesa del biturgense con Giulio Romano purtroppo finì nel 1524, quando il Pippi, terminata la Sala di Costantino (il simbolico lavoro che tratteneva e legava la bottega giuliesca a Roma), partì per Mantova e Raffaellino scelse di tornare a Sansepolcro.

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