Gli anni '40 e i due cantieri vasariani: Napoli e Roma

28.02.2021

A Perugia nel 1540 fu costruita La Rocca Paolina, Raffaellino del Colle partecipò quando iniziarono le decorazioni nel 1543 ca., assieme ad altri pittori: Lattanzio Pagani, Doceno, Dono Doni e Tommaso Bernabei detto il Papacello, (partecipazione di cui esistono solo i documenti non più gli affreschi) per la sua decorazione. Infatti il 28 giugno 1544 il biturgense è attestato a Perugia, quando viene nominato procuratore di suo nipote Giovanni Paolo del Colle (figlio del fratello), anch'esso pittore e possibile collaboratore nei due cantieri vasariani (quello di Monteoliveto a Napoli nel 1545 e a quello del Palazzo della Cancelleria a Roma 1546). Forse nominato procuratore proprio in vista della partenza per Napoli.

Rimanendo in linea con le opere di grande compostezza che caratterizzano questi anni, bisogna ricordare, realizzata nel 1541 ca. per Roberto de Blasi, la Sacra Conversazione in S.Francesco a Cagli.

Cagli (PU), S.Francesco, Olio su tela: Madonna con il Bambino e i Santi Rocco, Francesco d’Assisi,  Geronzio, Stefano e Sebastiano. (1541 ca.)
Cagli (PU), S.Francesco, Olio su tela: Madonna con il Bambino e i Santi Rocco, Francesco d’Assisi, Geronzio, Stefano e Sebastiano. (1541 ca.)


 Quest'opera rappresenta l'apice di uno dei momenti artisticamente più felici del pittore. Vicino a questo dipinto, in cui vengono elaborati e congiunti gli elementi più importanti della formazione raffaellinesca, è poi databile, commissionata dalla famiglia Tiranni e parte di un affresco più grande, la Madonna col Bambino occultato tra un pilastro e la bussola d'ingresso alla navata sinistradella Cattedrale di Cagli. Passato inosservato, eccettuate le fonti locali, tra chi si è occupato di Raffaellino forse anche a causa del suo stato di conservazione, ormai ridotto a poco più che una frammento. Va quindi considerato come un prezioso inedito pressoché sconosciuto. Citato e attribuito a Raffaellino solo dal Gualandi (1840), che già lo definisce «Avanzo di pittura» e dal Burioni (1927) il quale ci fornisce l'importante notizia che faceva parte della cappella Tiranni (una famiglia queste tra le più influenti e non solo di Cagli ma anche di tutto il ducato urbinate perchè legatissima ai duchi Della Rovere) in cui, oltre che la Madonna con il Bambino erano raffigurati «Gli stessi santi che oggi si vedono dipinti da Giovanni Sanzio nella chiesa di S.Domenico, cappella dei nobilissimi Tiranni». Questa notizia per noi è molto interessante, nel dipinto vi sono infatti una Madonna e un Gesù, iconograficamente identici a quelli rappresentati da Giovanni Santi nella chiesa di S.Domenico di Cagli. Si può quindi presumere che un erede di Pietro Tiranni (questi il committente dell'affresco santiano) o addirittura lo stesso Pietro (deceduto nel 1535), abbia commissionato a Raffaellino un affresco uguale a quello della vecchia cappella di famiglia (in questo caso sotto l'intonaco che inquadra l'affresco, potrebbe conservarsi una parte dell'originaria pittura). Tale decorazione rimase integra per circa un secolo fino a quando, alla metà del Seicento, si decise la riedificazione della cattedrale cagliese che portò ad un cambio di disposizione di quell'edificio sacro. Con il nuovo assetto la cappella Tiranni, posizionata al principio del vecchio lato destro oggi diventato controfacciata, coincise con l'ingresso alla navata sinistra, dunque fu disposto il suo smantellamento anche se, in segno di grande devozione, si salvarono le figure della Vergine e del Bambino. Per quanto riguarda la datazione dell'opera, che praticamente bisogna ridurre solo al frammento della Vergine ed alla parte inferiore del Bambino (il resto è stato tutto ridipinto), 1540-1541 ca. Per la chiesa cagliese di S.Francesco, la Sacra Conversazione con i Santi Rocco, Francesco d'Assisi, Geronzio, Stefano e Sebastiano Indubbio, facendo un passo indietro, che il 1530 e la Villa Imperiale consentì al pittore di farsi grande propaganda in territorio marchigiano. 


Il risultato è stato un artefice spesso interpellato, dalle famiglie che in un modo o in un altro facevano parte della corte roveresca, committenti di cappelle gentilizie ubicate negli edifici sacri dei rispettivi luoghi di residenza (famiglie strettamente legate, Tiranni e Pierfranceschi a Cagli e Pierfranceschi con i Felici a Piobbico). Raffaellino divenne massimo diffusore della maniera raffaellesca, iniziando il "manierismo metaurense" che come abbiamo visto fissa il suo principio di esistenza sulla cultura pittorica romana. Il pittore attualmente rintracciabile a Cagli con il piccolo frammento della Vergine con Bambino che abbiamo appena visto e la maestosa Sacra Conversazione (Imm.33). La grande tela, ancora oggi conservata nella sua collocazione originaria, è stata attribuita a Raffaellino a partire da Luigi Lanzi (1808), ricordata poi da Gucci (Inizio del '600) che apre la strada per individuare il suo committente e, pressapoco, il periodo di esecuzione. In un testamento del 28 gennaio 1537 infatti, Pierfrancesco Pierfranceschi, orinò al figlio Roberto di erigere una cappella nella chiesa di San Francesco e di ordinarla con le figure della beata Vergine e santi Sebastiano e Rocco. Pierfrancesco richiese inoltre un'opera di alta qualità, sia sul piano devozionale, sia su quello pittorico, da affidare a un artefice esperto, il quale avrebbe dovuto adoperare ottimi colori. Dopo il suddetto testamento non vi sono più notizie sino al 15 febbraio 1541, quando i Conventuali francescani diedero il consenso all'edificazione dell'altare di famiglia nella loro chiesa. Nel primo altare a sinistra quindi, (noto come altare di Santo Stefano) si trova la pala di Raffaellino: al centro della raffigurazione, sotto un grande baldacchino sorretto da due angeli sotto il quale siede maestosa ed impassibile la Madonna con il Bambino; questa poggia il piede nel secondo gradino in una posizione elegante, manieristica (sembra una prefigurazione della Passione di Cristo per la presenza del corallo rosso indossato al collo e al polso dal Bambino). Le cinque figure di santi sono disposte ai lati del trono quasi in circolo e dalle espressioni dei loro volti si capisce che sono tutti assorti nella riflessione della lettura fatta da San Geronzio (riconoscibile dalle due oche vicine alla guancia destra). Soltanto i Santi Stefano e Sebastiano sembrano distolti, forse dall'entrata in scena di un pellegrino che giunge da destra o forse il gesto di S.Sebastiano è per invitare noi a partecipare alla scena. Quel che è certo è che quest'ultimo santo effeminato e sensuale è espressione di un peculiare gusto del biturgense ed un'ulteriore si legge nel tipico paesaggio raffaellinesco che si staglia dietro al tramezzo architettonico. Raffaellino, in ogni caso, tentò di modernizzare l'idea del Santi come emerge da un disegno presentato recentemente da Alessandro Nesi (2005). Tale contributo grafico, pur se dal Nesi è stato riconosciuto come possibile prima idea per la Sacra Conversazione in S.Francesco, deve appunto leggersi come studio preparatorio dell'affresco cagliese impostato, per esigenze di committenza, sulla falsariga del lavoro santiano. Resta in questi anni, l'opera che conclude il percorso pesarese di Raffaellino ma non quello marchigiano avendo dipinto nel 1559 l'Altare del Crocifisso a S.Filippo a Sant'Angelo in Vado. Si tratta della pala della Madonna e S.Giovannino tra i Santi Antonio abate, Pietro, Paolo, Giuseppe e il donatore eseguita per Santa Maria dei Servi, uno dei punti cardine dell'attività raffaellinesca, a Sant'Angelo in Vado. 

Sant’Angelo in Vado (PU), S.Maria dei Servi, Olio su tela: Madonna con il Bambino e S.Giovannino tra i Santi Antonio abate, Pietro, Paolo, Giuseppe e il donatore (1543)
Sant’Angelo in Vado (PU), S.Maria dei Servi, Olio su tela: Madonna con il Bambino e S.Giovannino tra i Santi Antonio abate, Pietro, Paolo, Giuseppe e il donatore (1543)


Essa è datata 1543 ed è anche l'unica in cui sia apparsa la firma del pittore, apposte al piedistallo del trono della Vergine "Ann. D.ni. MDXLIII" e "Rapha. B.P." da sciogliere in "Rapha[ele] B[iturgensi] P[ixit]". Non certo il dipinto più noto, che anzi, è stato stranamente dimenticato dagli studiosi, si matura ulteriormente quel processo di regressione degli avvitamenti troppo eccentrici delle figure e delle loro pose da balletto, processo che era iniziato dal 1540 ca. (in particolare negli affreschi di Gubbio), probabilmente per effetto della vicinanza del Vasari e del Salviati. Anche se, nel panorama della pittura del pieno Cinquecento, quella dei Servi può ancora essere definita una tavola manieristica. Pur mantenendo ricordi da Raffaello, sembra guardare a Parmigianino, a emiliani e toscani eccentrici del '500. A Nesi (2005) in proposito ritiene l'opera vadese prova indiretta della conoscenza, da parte di Raffaellino, della Madonna dal collo lungo. La relazione diretta tra la nostra opera e la Pala fugger, tuttavia, porta ad escludere altri confronti, probabilmente anche quello in direzione del Parmigianino che comunque porta una datazione tarda, verso la fine degli anni '40. Per la commissione di questo dipinto forse Raffaellino compie un'ulteriore viaggio nelle marche, che come abbiamo detto sarà l'ultimo; oltre alle difficoltà di superare il passo di Trabaria con un dipinto così grande, si deve ricordare che la tavola ha uno spessore anomalo, quasi incredibile (oltre 6 cm). Dal Poggetto (2001) per questa tavola ha pensato che un carpentiere locale non troppo esperto gli abbia preparato in situ la parte lignea. Tra l'estate del 1542 Raffaellino è documentato a Sansepolcro, dove gli morirono tre figlie e alla metà del 1544 è di nuovo registrato in patria prima della partenza per l'impresa napoletana. Questa Sacra Conversazione vadese, splendida nei colori ancora vibranti tipici della prima e media produzione raffaellinesca, mostra un'altra particolarità: il ritratto del committente che documenta la grande capacità del pittore di restituire le peculiarità fisionomiche e psicologiche del personaggio. Quest'ultimo potrebbe a sua volta acquisire una precisa identità. Il committente ebbene non appartiene né alla famiglia Graziani, titolare in tempi recenti della mensa sacra dov'è esposta l'opera, né a quella dei Bizzarri, segnalata nel 1714. Un atto notarile dell'8 marzo 1543 documenta invece che i Serviti concessero, nella loro chiesa vadese di Santa Maria, la cappella "voc.a la cappella di S.to. Ant.o. prope et iuxta altar maius ad dextera". Visto che nella pianta dell'edificio del 1714 non compare una cappella dedicata a Sant'Antonio abate (come avviene in altre fonti settecentesche), è possibile che l'intitolazione sia stata assorbita dal nostro altare (nella pala il santo patrono degli animali si trova raffigurato a sinistra). La posizione dell'altare segnalata nel documento del 1543 corrisponde poi sia a quella riportata nella pianta della chiesa del 1714 sia a quella odierna della Sacra Conversazione. Inoltre la notizia che il giuspatronato della mensa sacra fu affidato ad Annibale Columbino, appartenente a una nobile famiglia vadese e vissuto oltre il 1543, costui dovrebbe dunque essere il personaggio in preghiera, ritratto sicuramente "dal vivo" da Raffaellino. Per comporre la scena, arricchita da due colonne tortili di raffaellesca memoria, Raffaellino si è basato in particolare sulla giuliesca Pala Fugger, da cui risulta estrapolato anche il gruppo della Vergine con il Bambino. La Madonna è quesi ringiovanita nel volto classico, immersa in un soffuso tramonto. Nuovi sembrano il trascolorare cromatico delle vesti, il pavimento casalingo e molto scorciato nelle mattonelle bianche-rosa e pallidamente verdi, contro cui campiscono confusi una spada e un libro oltre che il volto del committente.

Dopo molti anni in cui il Nostro orbita tra toscana, umbria e marche, lo vediamo spostarsi in una nuova città, che mai aveva conosciuto la sua mano; donando una pregevole testimonianza del manierismo toscano giunto sulle sponde del Golfo. Forse con suo nipote Giovanni Paolo del Colle, si sposta con Vasari a Napoli, per dipingere la volta della Chiesa di Santa Maria di Monteoliveto (più anticamente), nota come Sant'Anna dei Lombardi. Ebbene all'apice della sua fama, non abbandonando mai la sua umiltà, lavorò con Giorgio Vasari. Quel Vasari che certo fu conscio di tale supremazia, e ne ebbe invidia, se è vero che, fra le Vite di tanti pittori anche mediocri, non inserì una Vita intera dedicata a Raffaellino, aiutante e amico. Un tempo refettorio dei frati, l'ambiente è stato completamente affrescato da Giorgio Vasari tra il 1544 ed il 1545, con l'aiuto di Raffaellino de Colle. Vasari che non era nuovo alle commissioni dei monaci olivetani, in un primo momento rifiutò la commissione, ritenendo l'opaco ambiente gotico, non congeniale alla sua opera. Successivamente decise di adattare la struttura alle sue esigenze, coprendo a stucco tutte le volte, donando così maggiore luminosità. Vasari realizzerà virtù personificate, accompagnate da motivi zoomorfi e fitomorfi, in cui è visibile una incisività di contorno di chiara inspirazione michelangiolesca. Raffaellino lavorò nei primi quattro mesi del 1545 in collaborazione, come già detto, con altri pittori. La decorazione pittorica, distribuita su tutto il soffitto del refettorio, è divisa nei tre settori corrispondenti alle partiture architettoniche dell'ambiente e, partendo dall'entrata, troviamo il settore della Religione, quello dell'Eternità e quello della Fede. Intorno ad ognuna delle suddette raffigurazioni, racchiuse in ottagoni sono poste otto virtù. La Religione è quindi accompagnata dal Silenzio, dalla Sapienza, dalla Concordia, dalla Carità, dalla Bontà, dalla Scienza e da due virtù non identificabili. Infine, intorno alla fede, ci sono la Preghiera-Penitenza, la Sapienza in Dio, la Pudicizia, la Prudenza, la Castità, l'Abbondanza, la Pazienza e un'altra virtù non identificata. Individuare la mano di Raffaellino è cosa difficoltosa ma come dice la Barocchi (1964) «il biturgense può essere riconosciuto nelle parti cromaticamente più accese». Una più precisa distribuzione dei compiti è stata invece tentata dal De Castris (1981) che riconosce il contributo di Raffaellino nella Prudenza, nella Castità, nell'Abbondanza, nella Pazienza, nell'Eternità, nella Speranza, nella Religione e nella Carità.

Eterntà
Eterntà
Napoli, Sant’Anna dei Lombardi, più anticamente Santa Maria di Monteoliveto: particolari affreschi allegorici volta Prudenza. (1545)
Napoli, Sant’Anna dei Lombardi, più anticamente Santa Maria di Monteoliveto: particolari affreschi allegorici volta Prudenza. (1545)

Ad un anno circa dalla conclusione dei lavori di Monteoliveto a Napoli, un altro cantiere vasariano: ci troviamo a Roma a Palazzo della Cancelleria per la decorazione ad affresco della Sala della Cancelleria. Gran parte dei lavori, eseguiti tra il luglio 1546 e il novembre successivo, dovette essere affidata ad aiuti e, oltre al biturgense, il Vasari (1568) nomina il Bizzerra e il Roviale Spagnoli, Giova Battista Ramenghi da Bagnacavallo, Sebastiano Fiore, Salvatore Foschi e Giovanni Paolo del Colle. La decorazione è divisa in due fasce orizzontali e, mentre in quella inferiore sono rappresentati episodi della vita di papa Paolo III divisi in raffigurazioni allegoriche della Concordia, della Carità, della Benignità, della Religione, dell'Opulenza, dell'Eloquenza e della Giustizia, in quella superiore trovano posto i festoni, putti e virtù. Anche se ci troviamo di fronte a una rappresentazione complessa è tuttavia possibile distinguere la mano di Raffaellino. La Facchielli (1998) ha riconosciuto il contributo del biturgense nelle figure allegoriche dell'Eloquenza, della Religione e della Giustizia e la studiosa Grasso (1984) ha intuito che gli aiuti più validi del Vasari fornirono disegni propri. Cosi il raffaellismo visibile in più punti del cielo (in particolare nella fascia inferiore), potrebbe rimandare ad un consiglio ideativo di Raffaellino.Proprio in questo soggiorno romano (ipotizzandone un altro intorno al 1551) Raffaellino potrebbe aver dipinto il S.Michele Arcangelo (protettore della stessa) di S.Maria dell'Orazione e Morte la cui datazione oscilla tra il 1546 e il 1551. Il dipinto prima di essere spostato in sagrestia era collocato in uno degli altari della chiesa (quello di destra) e non essendo stato riconosciuto era sconosciuto alla critica raffaellinesca; assegnato a Raffaellino del Colle dal Titi (1686) ed accettato dalla critica successiva.


FIRENZE

Nel 1548 Agnolo Bronzino, già compagno di lavoro di Raffaellino all'Imperiale, lo convocò a Firenze perchè lo aiutasse nella realizzazione dei cartoni per gli arazzi con Storie di San Giuseppe destinati al salone dei Dugento in Palazzo Vecchio. La serie di arazzi, commissionata dal Duca di Firenze Cosimo I, è costituita da venti pezzi totali ed alla sua ideazione parteciparono il Pontormo con tre arazzi, il Salviati con un solo arazzo e il Bronzino che eseguì i rimanenti sedici pezzi (già pittore di corte). Ecco perchè quest'ultimo il 13 aprile 1548, chiese aiuto a Cosimo I (Gaye 1840), di poter usufruire, per la realizzazione dei cartoni guida destinati alla tessitura degli arazzi, dell'aiuto di «Raffaello da Borgo, huomo da bene et valentissimo». Il 15 maggio successivo Raffaellino è già al lavoro e grazie a dei documenti sappiamo che il soggiorno non fu breve ma durò oltre due anni e mezzo, tutti dedicati a questo lavoro. Vero anche che ebbe modo di studiare la Deposizione che Francesco Salviati stava dipingendo per la basilica di Santa Croce, della quale diede una trascrizione personale nella pala dello stesso soggetto per la cappella Albizini per la chiesa della Madonna delle Grazie a Città di Castello (1552). Tornando all'esperienza Fiorentina si può affermare con sicurezza che il ruolo di Raffaellino non deve essere stato, rispetto a quello che normalmente si pensa, di poco conto e si può supporre che il biturgense partecipò, oltre che alla fase esecutiva, anche alla fase ideativa dei cartoni. Questo succede ad esempio nell'arazzo di Giuseppe riconosciuto dai fratelli in cui il protagonista non è altri che il S.Sebastiano, al quale si rimanda per la posa e per la fisionomia, della Pala di S.Michele Arcangelo di Città di Castello. In generale comunque, isolato il "segno pulito" del Bronzino, è possibile riconoscere con discreta sicurezza il contributo di Raffaellino Ciò è evidente confrontando gli arazzi ideati personalmente dal Bronzino prima dell'arrivo a Firenze del biturgense (circa quattro pezzi) e quelli posteriori realizzati con il sostegno di Raffaellino. Dai documenti Adelson intuisce che: Raffaellino lavorò agli arazzi (2 anni 5 mesi e 25 giorni) che riportati nel periodo di tre anni e cinque mesi compreso tra il 15 maggio 1548 (inizio dei lavori da parte di Raffaellino) e il 17 ottobre 1551 (fine degli stessi) creano uno scarto di 11 mesi ca. Dato che questo soggiorno a Firenze non è stato continuativo ma intervallato da assenze, M.Droghini nella sua monografia (2001) afferma che queste potrebbero essere coperte dalla realizzazione del portico ora perduto a Pesaro, per Vittoria Farnese (1549) e ricordato dal Mancini. Poichè nell'ottobre 1549 Raffaellino è probabilmente presente anche a Sansepolcro, l'opera potrebbe esser stata eseguita in questo periodo.


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